Un popolo di fronte alle sfide della città
10:25 AM
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Un popolo di fronte alle sfide della città
“L’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione. Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. Aumentano alcune patologie. Il timore e la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti Paesi ricchi. La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’inequità diventa sempre più evidente. Bisogna lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità” (EG 52).
Una situazione che affonda le sue radici prima che in quella economica, che ne è solo conseguenza, in una crisi antropologica e culturale in particolare del mondo occidentale. Una progressiva ideologizzazione dei valori distaccati dalla loro origine cristiana sfociato in un nichilismo (apparentemente) gaio e nell’era della cosiddetta post-verità portano a una “liquefazione” delle relazioni e dei legami provocando un individualismo e una frammentazione dilaganti a tutti i livelli: personale, famigliare, comunitario e politico; e con essi una insicurezza esistenziale che genera paura, conflittualità e difesa dall’altro e dal diverso. E che esplode principalmente nelle città.
Le ripercussioni di questa crisi antropologica vengono sottolineate in modo vibrante dallo stesso Papa. Ne prendiamo solo alcune a esempio in ambiti diversi ma con cause comuni. In primo luogo un io adulto spesso scettico e cinico, quindi “spento”, demotivato, incapace di rischiare e assumersi responsabilità che si riflette nelle giovani generazioni sotto forma di apatia, forse il maggior sintomo dell’emergenza educativa a cui siamo di fronte.
“Giovani, superate l’apatia. Che nessuno disprezzi la vostra giovinezza, ma imparate a essere modelli nel parlare e nell’agire (cfr. 1 Tm 4,12). Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico” (papa Francesco, Firenze 2015).
In secondo luogo una finanziarizzazione dell’economia, o meglio una separazione della finanza dall’economia reale, che ha causato i disastri ben noti, e una riduzione economicistica del lavoro umano, che ha portato in tante situazioni a privilegiare i tagli del personale rispetto ad altre soluzioni forse più faticose ma più lungimiranti per il futuro dell’azienda e della società in cui opera.
“I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani. Rinunciare a investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società” (papa Francesco, Laudato si', 2015, n. 128).
Infine i danni arrecati all’ambiente stanno producendo il riscaldamento globale e numerose altre “ferite” alla madre terra con conseguenze disastrose per intere popolazioni, divenendo la terza causa migratoria dopo la povertà e le guerre.
Tutto questo causa anche la diffusione e intensificazione della povertà. Il Pontefice centra uno dei punti focali della crisi strutturale che il modello finanziario, economico, politico e culturale dominante sta provocando:
“Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema” e che “l’inequità è la radice dei mali sociali” (EG 202).
Pur in un contesto di complessiva tenuta del sentiero di pace e quindi di tentativo di sviluppo integrale delle nostre comunità non possiamo nasconderci che i mali che stanno affliggendo il mondo sono presenti e rischiano di minare alle fondamenta la nostra società anche nei nostri territori, dove come in tutto l’Occidente e nell’intero pianeta, le diseguaglianze sono drammaticamente aumentate. Negli ultimi decenni i ricchi sono divenuti sempre più ricchi, i ceti medi hanno visto assottigliarsi le opportunità rispetto alla generazione precedente e i loro figli – ci spiegano gli esperti – avranno meno opportunità dei loro padri; inoltre, anche alle nostre latitudini, il numero dei poveri assoluti e relativi è aumentato drasticamente negli ultimi anni. Anche a Milano sono dunque presenti le stesse sfide che papa Francesco mette al centro dell’azione della Chiesa: una Chiesa povera per i poveri.
“Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società” (EG 186).
Di fronte a queste sfide il cristiano non può stare tranquillo, magari cercando riparo nella Chiesa e riducendo la fede a un anestetico:
“L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di «rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli»” (EG 49).
Una situazione che affonda le sue radici prima che in quella economica, che ne è solo conseguenza, in una crisi antropologica e culturale in particolare del mondo occidentale. Una progressiva ideologizzazione dei valori distaccati dalla loro origine cristiana sfociato in un nichilismo (apparentemente) gaio e nell’era della cosiddetta post-verità portano a una “liquefazione” delle relazioni e dei legami provocando un individualismo e una frammentazione dilaganti a tutti i livelli: personale, famigliare, comunitario e politico; e con essi una insicurezza esistenziale che genera paura, conflittualità e difesa dall’altro e dal diverso. E che esplode principalmente nelle città.
Le ripercussioni di questa crisi antropologica vengono sottolineate in modo vibrante dallo stesso Papa. Ne prendiamo solo alcune a esempio in ambiti diversi ma con cause comuni. In primo luogo un io adulto spesso scettico e cinico, quindi “spento”, demotivato, incapace di rischiare e assumersi responsabilità che si riflette nelle giovani generazioni sotto forma di apatia, forse il maggior sintomo dell’emergenza educativa a cui siamo di fronte.
“Giovani, superate l’apatia. Che nessuno disprezzi la vostra giovinezza, ma imparate a essere modelli nel parlare e nell’agire (cfr. 1 Tm 4,12). Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico” (papa Francesco, Firenze 2015).
In secondo luogo una finanziarizzazione dell’economia, o meglio una separazione della finanza dall’economia reale, che ha causato i disastri ben noti, e una riduzione economicistica del lavoro umano, che ha portato in tante situazioni a privilegiare i tagli del personale rispetto ad altre soluzioni forse più faticose ma più lungimiranti per il futuro dell’azienda e della società in cui opera.
“I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani. Rinunciare a investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società” (papa Francesco, Laudato si', 2015, n. 128).
Infine i danni arrecati all’ambiente stanno producendo il riscaldamento globale e numerose altre “ferite” alla madre terra con conseguenze disastrose per intere popolazioni, divenendo la terza causa migratoria dopo la povertà e le guerre.
Tutto questo causa anche la diffusione e intensificazione della povertà. Il Pontefice centra uno dei punti focali della crisi strutturale che il modello finanziario, economico, politico e culturale dominante sta provocando:
“Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema” e che “l’inequità è la radice dei mali sociali” (EG 202).
Pur in un contesto di complessiva tenuta del sentiero di pace e quindi di tentativo di sviluppo integrale delle nostre comunità non possiamo nasconderci che i mali che stanno affliggendo il mondo sono presenti e rischiano di minare alle fondamenta la nostra società anche nei nostri territori, dove come in tutto l’Occidente e nell’intero pianeta, le diseguaglianze sono drammaticamente aumentate. Negli ultimi decenni i ricchi sono divenuti sempre più ricchi, i ceti medi hanno visto assottigliarsi le opportunità rispetto alla generazione precedente e i loro figli – ci spiegano gli esperti – avranno meno opportunità dei loro padri; inoltre, anche alle nostre latitudini, il numero dei poveri assoluti e relativi è aumentato drasticamente negli ultimi anni. Anche a Milano sono dunque presenti le stesse sfide che papa Francesco mette al centro dell’azione della Chiesa: una Chiesa povera per i poveri.
“Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società” (EG 186).
Di fronte a queste sfide il cristiano non può stare tranquillo, magari cercando riparo nella Chiesa e riducendo la fede a un anestetico:
“L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di «rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli»” (EG 49).