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Un popolo costruttore di un meticciato di pace

Un popolo costruttore di un meticciato di pace

Milano terra di mezzo. Le terre ambrosiane sono sempre state terre di incontro e di scambio, luoghi di accoglienza e di sviluppo. Di fronte alle grandi trasformazioni in atto Milano ha la responsabilità di saper realizzare un meticciato urbano che sappia essere l’alternativa a forme di separazione e di discriminazione, di rifiuto e di scarto. Il popolo ambrosiano può mostrare come la cultura dell’incontro e la civiltà dell’amore possono essere una reale alternativa alla globalizzazione dell’indifferenza e alla guerra di civiltà. In questa sfida vale la pena giocare l’originale impronta ambrosiana: la nostra identità di popolo di Dio può giocare un ruolo (e lo sta facendo) nel costruire un concetto di pace che non sia soltanto negativo (evitare conflitti) ma positivo e dialogico (favorire incontri e relazioni, lavorare per generare quell’amicizia civica che è la base di ogni convivenza).
In questa situazione, il peccato da combattere è la distrazione che ci rende sterili e provoca fratture e divisioni. Così, pur convinti dell’amore di Dio che salva il mondo, non riusciamo a vedere il bene che si sta realizzando, non riusciamo a leggere nel presente il disegno di salvezza che Dio sta operando anche oggi. Questo è il rischio maggiore e il peccato di cui come cristiani dobbiamo chiedere perdono: le divisioni tra di noi, il ripiegamento identitario ci fanno correre il rischio di non essere capaci di vedere la salvezza che Dio sta operando anche in mezzo ai tanti segni di stanchezza e di fatica. Il nostro peccato ci inibisce lo sguardo, la speranza. Rischiamo di cadere vittime di quella «tristezza individualista che ci trasforma in persone risentite, scontente, senza vita».
“Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto” (EG 2).
Il luogo dove vivere questa sfida, il luogo dove stiamo imparando a essere popolo per tutti i popoli sono le tante periferie, che non solo a Milano stanno cambiando a una velocità ben superiore alla comprensione che ci stiamo facendo del fenomeno. Le periferie sono il grande laboratorio non solo della città ma anche della Chiesa del domani (ma già dell’oggi). E gli strumenti per abitare questa sfida sono quelli che la tradizione ambrosiana ci consegna: una dimensione religiosa da vivere nel quotidiano come sorgente di energie e di senso, un lavoro educativo e culturale capillare e continuo, una voglia di condivisione che fa della festa la celebrazione dei momenti di incontro e di relazione, una carità che sa non soltanto riconoscere i bisogni ed elaborare risposte, ma che abita questi bisogni come luogo a partire dal quale costruire nuovi legami e tessuti sociali.
In tutto questo quadro si colloca l’impegno per un ecumenismo di popolo e una volontà di dialogo tra le religioni e con tutti gli uomini di buona volontà. Milano ha visto la nascita del Consiglio delle Chiese cristiane, e ci vede impegnati insieme come cristiani (cattolici, protestanti, ortodossi) a seminare nelle terre ambrosiane la medicina del perdono, del dialogo, dei cammini di riconciliazione e di comunione. Abitando in un mondo impaurito e a rischio rassegnazione, l’ecumenismo di popolo ci permette di toccare con mano che ciò che ci unisce è molto più forte di ciò che ci divide. Possiamo perciò stimolarci reciprocamente, nel cercare di vivere con fedeltà la nostra testimonianza al Vangelo, imparando a crescere nell’unità. E la comunione che stiamo imparando a vivere tra cristiani ci da forza per quel dialogo tra le religioni che anche Milano vuole vivere, per essere laboratorio di pace.
In queste periferie che sono la Milano del ventunesimo secolo papa Francesco ci spinge a vedere i tratti della Chiesa in uscita, ovvero pronta a fare delle sfide un luogo di rigenerazione del proprio corpo ecclesiale, mostrando la capacità di entrare in rapporto e di innescare processi con realtà e comunità di altre religioni, facilitando esempi di convivenza costruttiva e positiva anche tra diverse etnie.
“Non bisogna dimenticare che la città è un ambito multiculturale. Nelle grandi città si può osservare un tessuto connettivo in cui gruppi di persone condividono le medesime modalità di sognare la vita e immaginari simili e si costituiscono in nuovi settori umani, in territori culturali, in città invisibili. Svariate forme culturali convivono di fatto, ma esercitano molte volte pratiche di segregazione e di violenza. La Chiesa è chiamata a porsi al servizio di un dialogo difficile” (EG 74).
Se il compito ci apparisse difficile e il confronto con le sfide impossibile, vale la pena assumere e fare nostra l’attitudine e lo sguardo di Maria, la Madre del Signore. Come ci ricorda papa Francesco, è proprio guardando Lei che possiamo dispiegare il nostro impegno a essere popolo di Dio nella città, tra e per i popoli, convinti del sostegno solido e ricco di fantasia dello Spirito Santo.
“Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza. Lei è la piccola serva del Padre che trasalisce di gioia nella lode. È l’amica sempre attenta perché non venga a mancare il vino nella nostra vita. È colei che ha il cuore trafitto dalla spada, che comprende tutte le pene. Quale madre di tutti, è segno di speranza per i popoli che soffrono i dolori del parto finché non germogli la giustizia. È la missionaria che si avvicina a noi per accompagnarci nella vita, aprendo i cuori alla fede con il suo affetto materno. Come una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio” (EG 286).

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